Neanche fosse la serata degli Oscar un corto di 8 minuti (che poi sono in realtà 6 tolti i titoli di testa e di coda) di Gabriele Muccino sulla Calabria sta suscitando un’ondata di polemiche che in tempi di Cvirus dilagante non era forse preventivabile. Ma in Calabria va cosi’…
Accade, infatti, che questo spot promozionale - ordinato alcuni mesi fa dalla defunta presidente della Regione Jole Santelli al regista di livello (è la dicerìa) da premio Oscar (davvero in questo caso) e presentato l’altro giorno alla Festa del cinema di Roma per poi essere diffuso su vari canali social – ha aperto una valanga di dichiarazioni senza precedenti.
L’università di Facebook si è ovviamente distinta: in un batter d’occhio si è infatti tramutata da esercito di epidemiologi e virologi, tutti intenti a dare consigli su come arginare l’ondata di contagi da cvirus, a platea di esperti massmediologi, pubblicitari, maghi del cinema e della comunicazione. I sei minuti sei sono stati scarnificati e vivisezionati: dalla coppola al congiuntivo sbagliato, dalle arance in estate alla sopressata con il finocchietto, dalla luce agli innamoramenti di Bova. Pochi i complimenti e tanti gli insulti. E ci sono tutti o quasi: dai politici di ogni colore agli intellettuali, agli scrittori, ai sociologi, ai cinematografari è un turbinio di accuse al regista romano. E’ questa la Calabria vera? Quanti stereotipi si potevano evitare? L’immagine della regione ne esce male ancora una volta: queste le accuse più ricorrenti oltre ovviamente al milione e 700 mila costo dell’operazione a Muccino.
Il quale Muccino ha cercato pure di spiegare: non ho fatto un documentario sulla Calabria, ma un viaggio d’amore per raccontare lo spirito della Calabria che non si può raccontare in un cortometraggio. Volevo far venire voglia di conoscere la Calabria.
Sembra però tutto inutile. L’ondata dopo 4 giorni non si arresta.
Il vero è che il corto al di là ed oltre che possa non piacere – e ci sono tante e tante ragioni perche’ sia cosi’ – non poteva e non puo’ rovesciare l’immagine di una terra che è stata storpiata da decenni e decenni fino a farne un buco nero dove rovesciare e mettere tutto il male di un Paese intero. Per un’operazione di quel tipo ci vorrebbe non un corto di 8 o 18 o 38 o 78 minuti fatto ovviamente bene ma una buona politica, una buona informazione, una buona società, un buon mondo delle professioni. Tutte cose che pure esistono in Calabria ma che sono travolte da un immaginario collettivo di tutt’altra natura e da un racconto a volte oltraggioso.
Muccino pero’ questo lo doveva sapere prima di accettare il munifico incarico, o se lo doveva fare spiegare bene. Da un premio Oscar (sempre la dicerìa) era lecito attendersi almeno questo. Tutto il resto, come diceva il grande Califano, è noia.