di MARIA FRANCO
Quello che differenzia davvero la mia vita da quella delle mie ave è il fatto che io ho studiato.
Sarebbe stata la stessa cose rispetto ai miei avi, se fossi nato maschio.
Le mie nonne contadine (intendo: trisavole, bisnonne, nonne) hanno accumulato nei secoli una sapienza esistenziale altissima e hanno prodotto una grande cultura fatta di bellezza e cura della vita (il lavoro nei campi, l’allevamento degli animali, i ricami, la tessitura). Non erano in nulla inferiori ai loro mariti. Ne riconoscevano la supremazia in certi campi, come i nonni riconoscevano la loro in altri. Condividevano una comune visione dell’esistenza, che considerava il sacrificio componente ineliminabile della vita. E, in fondo, gli uni e gli altri sapevano bene che chi tirava davvero le redini della famiglia, per entrambi l’obiettivo più importante, erano sempre loro: le donne.
Oggi, gli equilibri tra uomini e donne, sono molto più instabili. La comune cornice d’una visione unitaria del mondo non c’è più. La soggettività di ciascuno urge con le sue problematiche. Le donne hanno camminato, negli ultimi decenni, più di quanto abbiano fatto gli uomini.
Eppure, le donne (come gli uomini) non vivranno meglio se non in un mondo capace di dare sostanza agli equilibri più avanzati che lo sviluppo economico-sociale dell’Occidente ha prodotto, a partire dall’istruzione per tutti.
Di passi avanti ne restano molti da compiere. Per le donne e per gli uomini. Perché sono i passi di entrambi che potrebbero dare nuovo vigore e giovinezza ad una storia che, spesso, rischia di mostrare troppi segni di stanchezza.
C’è il problema – maschile – della violenza sulle donne, fino alla loro soppressione.
C’è la marcia zoppicante non conclusa per la parità di genere. Che, recentemente apparsa sotto forma di ministri/e, si è poi dissolta sotto la specie di sottosegretari/ie e sembra fuori anche dalla riforma elettorale in discussione alla Camera.
C’è il bombardamento mediatico che pesa, sugli uomini e sulle donne, fin dalla prima infanzia e che troppe volte fa della donna un oggetto (bello, desiderabile, più che desiderabile: a chili, a pezzi) e dell’uomo uno la cui esistenza vale se possiede oggetti (che siano orologi, macchine o donne) che, a loro, volta lo possiedono. E, insieme con quello, l’accumularsi di altri pregiudizi. Per cui un tempo, se non stavi in casa non eri una ragazza seria e adesso caso mai ti venisse in mente di volerti sposare e avere tre bambini sei da manicomio.
E ci sono le migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze laureati/e a pieni voti non trovano un lavoro o ne hanno uno che non corrisponde né ha effettive possibilità di corrispondere, in periodi ragionevoli, alla loro specializzazione: una generazione e forse più, formata e sottoutilizzata, uno spreco che pesa insopportabilmente sulle spalle dei singoli e della collettività.
E via via enumerando.
Sono le condizioni oggettive - l'economia, il lavoro, le scelte della politica - che creeranno condizioni più o meno favorevoli per le donne (e per gli uomini).
Mi chiedo se, risolto il problema istruzione, non si pone, oggi, un problema di educazione o, meglio, di autoeducazione. Nel senso che sarebbe il momento che, uomini e donne, si riconoscessero il diritto d’essere persone: uguali e diverse. In cui l'elemento diversità è ricchezza dell’uguaglianza.
Le immagini sono tratte da una campagna che ha avuto ampio spazio su twitter in vista di questo 8 marzo