Negli anni ’50 il giovane sindaco di Tricarico, in Basilicata, regione “sottosviluppata” come la Calabria, fu accusato di “concussione” per una questione legata a fondi pubblici. Dopo quarantuno giorni di carcere preventivo, a Matera, fu rimesso in libertà. Poi fu prosciolto da ogni accusa. Il sindaco era Rocco Scotellaro, il poeta di “Sempre nuova è l’alba”. Ovviamente il pensiero corre a a Mimmo Lucano, oggi agli arresti domiciliari al quale auguriamo di essere presto libero.
E tuttavia al termine di questa settimana, dopo l’esterrefatta sorpresa mattiniera del martedì due ottobre, dopo averne sentite tante di forche, di ceppi, ed anche di aureole, forse è giunta l’ora di affrontare seriamente l’unico tema che esula dal caso concreto e riguarda da vicino un tema che in Calabria si avverte in maniera preponderante. È il tema della carcerazione preventiva e dei limiti alla libertà individuale di colui che ancora non è stato giudicato.
Quando l’accusa non è giudizio, quando il processo vero e proprio, quello con le garanzie, non è ancora iniziato, quale senso attribuire alla privazione della libertà per gli incensurati, per chi, per una vita ha sempre rigato dritto? La libertà personale è inviolabile, afferma l’art. 13 della Costituzione italiana, e la Corte Europea dei diritti dell’uomo fa eco (sentenza 2 luglio 2009 Vafiadis contro Grecia) affermando che la carcerazione preventiva deve apparire come la soluzione estrema, quella da applicare quando, vagliate tutte le soluzioni alternative la persona non può esser lasciata libera.
Purtroppo questi bei principi nei fatti, non sempre vengono applicati ed anzi spesso accade il contrario. I tanti suicidi dei tempi di “Mani Pulite”, a distanza di un bel po’ di anni, hanno insegnato ben poco. Anzi, le Procure di gran parte d’Italia, Calabria compresa, pur trovandosi di fronte a reati non particolarmente allarmanti in quanto le emergenze sono ben altre, pur avendo analizzato l’intera vita di una persona imputata ed avendovi trovato un bel “NULLA” quanto a precedenti penali, pur di balzare agli onori delle cronache, pur di manifestare la propria presenza a garanzia dell’ordine, pur di apparire insomma, “calcano la mano” ovvero richiedono, senza operare graduazioni, le misure cautelari più deleterie per l’uomo libero, ovvero: custodia in carcere, arresti domiciliari, obbligo di firma, obbligo di dimora.
E questo abuso viene consumato sotto gli occhi di noi tutti, che restiamo sgomenti e turbati al solo pensiero che domani possa succedere altrettanto sfregio anche al nostro vicino di casa o a noi stessi, e che senza pietà, da parte dell’organo di giustizia, già prima del verdetto: colpevole o innocente, si possa perdere il bene più grande.
E’ un vero miraggio pensare al poi, quando si è “ristretti”. Poi ci sarà il Tribunale della Libertà poi la sapiente difesa opererà un miracolo, poi forse poi la misura sarà revocata. E se quel malcapitato è innocente? E se ha commesso una sciocchezza? Se ha commesso un reato in stato di necessità? E se è colpevole ma la misura è eccessiva? Intanto che gli interrogativi scorrono, una crepa irreparabile nella vita di quell’uomo “presunto innocente” è stata aperta, consapevolmente, con eccesso di potere e senza riguardo alcuno ai criteri di adeguatezza e proporzionalità.