Mi mancano quelle belle litigate a denti stretti, lo sfancularsi e il detestarsi per futili motivi. Mi manca la faccia di beota dell’idiota, quello che parla e tocca, mi manca la signorina con la mini sottoascellare, mi manca il signor sotuttoio, il commendator aggiustotuttoio, mi manca persino il manager surfista con la porsche che adora come gli altri adorano dio, mi mancano i picciotti scolastici, mi manca il latte alle ginocchia, quello che vota lega perché può aggiustare le cose al sud, mi manca l’ossessionato dal peccato, l’ossessionata dal sesso, mi mancano le parole che non ho ascoltato e che rimpiango, mi manca la vita.
Voglio ancora incazzarmi con tutti, voglio desiderare di bruciarvi con il lanciafiamme, e poi alla fine, in realtà ciò che voglio di più è accarezzarvi e dirvi tranquilli, gente, torneremo presto ad essere babbei, a cincischiare con vita e morte, a soffrire amare godere gioire, a sentirci vivi quando vince la nostra squadra quando siamo al concerto quando siamo a teatro quando siamo insieme.
Quando siamo insieme, come diceva Janis, per darvi pezzi di cuore, per azzannare i vostri, per scambiarci la pelle, per alitarci addosso l’aglio della sera prima, per subire le pacche sulle spalle del mio amico maciste che ogni volta mi sfascia la pleura, per i baci umidi della zia anziana che adesso, chiusa sola sola a casa mi chiama e con voce tremante mi dice riguardati.
Da soli, nelle nostre camere da manicomio, la camicia di forza dell’ottimismo legata stretta stretta, rimpiangiamo adesso i nostri momenti più fessi, no, non quelli epici o i successi e l’allegria, niente affatto, rimpiangiamo le ferite vive, scrutiamo il futuro e chiediamo al destino solo la norma, e la comunanza, gli assembramenti di studenti che flirtano, di anziani che sbuffano, di mammine che sorridono, di bambini che giocano, di lavoratori incazzati che protestano, di festaioli ciechi che si ubriacano ad alzo zero.
Maledetto Virus, maledetta solitudine che adesso viene allo scoperto, la nostra malattia mentale, il nostro Killer vizioso venduto alle multinazionali in cambio di quattro dobloni sporchi di sangue. Guardiamoci da lontano ora, con i nostri carichi di merda e di odio, guardiamoci da lontano e ammettiamo quanto siamo importanti, l’uomo è un animale sociale lo dice la scienza, l’umanità è una pattuglia di sognatori alla deriva, invoca punizioni e durezza ma è soffice come i babà.
Che faremo dopo? Che faremo quando il terrore della fine e del male, quando l’ansia terribile che possa accadere qualcosa ai nostri cari, quando questa atroce malattia passerà?
Non lo so che faremo. So cosa dovremmo fare. Smetterla di giocare a fare gli dei. Prenderci per mano e tracciare una via nuova. Deviare dal percorso stabilito da potenti al sicuro nelle loro roccaforti. Ritornare a pensare alla libertà. La parola magica che fa rima con il più vituperato, offeso, umiliato, inflazionato, confuso, tradito sentimento. Libertà fa rima con amore.
Lo so, il latte alle ginocchia questa volta ve l’ho fatto calare io. Ma che ci volete fare, a me la vita piace. Mi piace così tanto che non esito a contraddirmi, tagliuzzarmi, graffiarmi e prendermi a pugni in faccia per difenderla. E la vita non è altro che questo. Riuscire ad amare, anche quando siamo lontani mille miglia e mille anni. Resistere al desiderio di salvarsi da soli., e sperare di venirne fuori tutti.
L’amore ai tempi del Coronavirus. Era da decenni che non si esprimeva in modo così potente. Alla resa dei conti avevano ragione i Beatles. All you need is love. Era vero.
Tenetevi i soldi. Tenetevi il successo. Tenetevi la Porsche. Io rivoglio solo i baci di mia zia vecchia, sola, laggiù, che mi telefona e mi dice riguardati.