DE RAHO. La solitudine e il silenzio della città

DE RAHO. La solitudine e il silenzio della città
cdrh   Le parole del procuratore De Raho si sono fragorosamente infrante in un muro di silenzio. Se non fosse per le considerazioni di Lamberti Castronovo e per una breve battuta del sindaco Falcomatà («giudici solitari e non soli») per il resto la città ha taciuto. C’è voluto un altro napoletano, Guido Ruotolo, autorevole giornalista e conoscitore di cose di Calabria, già portavoce del ministro della Giustizia Orlando, per dare spessore e consistenza a quella che solo con molte difficoltà può chiamarsi discussione o polemica. E' seguito un (solo apparente) disinteresse che ha un peso indiscutibile e segna la cifra della situazione reggina al di là di ogni infingimento.

ALFA. A Reggio è toccato in sorte negli ultimi dieci anni di avere procuratori (Pignatone e De Raho) che certo non provenivano da isole felici del paese. Palermo e Napoli sono stati luoghi di stragi efferate, di corruzioni sconfinate, di collusioni tra pezzi delle istituzioni e criminalità organizzata che sono entrate nelle storia del paese e non solo. Loro stessi, in quelle terre, sono stati al centro di minacce, polemiche e battaglie che non hanno alcun riscontro nella realtà reggina. Lo spessore degli interessi politici ed economici di quelle realtà non hanno alcun paragone con la diseredata punta della Calabria.

Eppure entrambi, giunti a Reggio, sono rimasti sbigottiti dalla condizione che hanno trovato. Il procuratore De Raho non ha mai pronunciato per Napoli le parole che abbiamo udito nei giorni scorsi su Reggio. L’invito all’isolamento più assoluto, alla chiusura totale sino al sacrificio delle più innocenti passioni (il tennis). Eppure come dimenticare la Napoli dove i magistrati facevano parte delle commissioni di collaudo post terremoto del 1980 trapuntato da scandali e ruberie, la Napoli di Enzo Tortora, di Gava, Cosentino, Cirino Pomicino eccetera, tutta ben frequentata anche da molti – non tutti ovvio – magistrati partenopei. Per non parlare della Palermo di prima e dopo l’eccidio di Giovanni Falcone. Ma sia Pignatone che De Raho giudizi così gravi li hanno espressi solo su Reggio. Per cui delle due una: o la situazione della città è catastrofica oltre l’immaginabile ovvero c’è qualcosa che ha a che vedere su cosa ormai Reggio rappresenta nell’immaginario collettivo nazionale. Ovviamente la verità sta (quasi) sempre nel mezzo ed è di questo “mezzo” che bisogna ragionare.

BETA. Molti magistrati che lavorano in città non sono neppure calabresi. Giungeranno a Reggio e provincia tra qualche settimana giovani magistrati di prima nomina e il segnale che gli lancia il prestigioso Capo della procura è chiaro: «Non parlate con nessuno, non frequentate nessuno, la ndrangheta è ovunque». C’era da attendersi che a manifestare perplessità su quelle dichiarazioni fossero innanzitutto i magistrati reggini che si sono trovati o si trovano nel palazzo di giustizia. Loro vivono a Reggio da decenni, hanno amici, parenti e compagni di scuola, frequentano normalmente tantissima gente e qualcuno anche i campi da tennis (anzi corre voce addirittura di un torneo per toghe). Certo può essere capitato loro di aver frequentato incolpevolmente qualcuno finito nei guai con la giustizia e questo determina perduranti imbarazzi. Ma qui la questione si complica. La gente, e non solo i magistrati, non dispone dell’elenco delle persone indagate dai pubblici ministeri, né può conoscere i legami di questo e quello con la ndrangheta. La vita è anche, e per fortuna, una cosa lieve, fatta di momenti di svago, di convivialità ordinarie e non ci si può sedere ad un tavolo chiedendo agli altri di esibire il certificato penale. Certo, è vera e indiscutibile una corposa realtà di infiltrati della ndrangheta, collusi, conniventi, anime nere che si mescolano, e lo fanno per interessi specifici e non per amore della convivialità, alle persone perbene. Ma qui, ed è un paradosso, l’unico a poter dare una mano potrebbe essere solo l’ufficio che De Raho dirige, l’unico a disporre – per ragioni di lavoro - dell’elenco completo delle (vere o presunte) talpe della mafia. Se ne potrebbe rendere pubblici i nomi in modo da poter offrire ai reggini un criterio con cui orientarsi quando partecipano ad una cena, ad una riunione politica, ad un convegno, alla presentazione di un libro. Ma il segreto istruttorio lo impedisce. Giusto. Però non si può negare che le dichiarazioni del procuratore De Raho segnalino all’Italia intera che parecchie migliaia di reggini sono nell’elenco dei sospetti o, peggio, degli indagati per mafia. Altrimenti, non dico un doppio, ma almeno un singolo a tennis si riuscirebbe a giocarlo pure a Reggio.

GAMMA. La metafora della partita di tennis non vuole certo mancare di riguardo verso il dramma, anche esistenziale, che il dottor De Raho ha evidenziato. Ma la partita con la ndrangheta, la guerra alla piovra immonda, assomiglia proprio ad una lunga partita a tennis. La pallina torna e ritorna nel campo della legalità e dell’illegalità e tutti i giocatori cercano di assestare il colpo vincente. Il colpo talvolta arriva, talvolta no. Poi si ricomincia. Talvolta cambiano i giocatori nei due schieramenti, ma la partita è sempre la stessa. Certo la ndrangheta ha dalla sua il fatto che, purtroppo, non sembra mai domata e i nomi e le famiglie si ripetono (sempre gli stessi) da decenni. Allo Stato, invece, non giova il repentino cambio continuo. Sia il procuratore Pignatone sia il procuratore De Raho, scaduto il periodo minimo obbligatorio di permanenza a Reggio, hanno chiesto di ricoprire altri, più prestigiosi, incarichi in magistratura. Legittimo, ci mancherebbe altro. Ma vien fuori, obiettivamente, l’impressione, che noi immaginiamo sbagliata, che la Calabria sia una mera parentesi nelle loro autorevoli carriere. La racchetta passa ad altri. Anche loro annunceranno colpi vincenti che, però, saranno contrastati da colpi opposti.

DELTA. Il campo su cui si gioca questa partita è la reputazione della città e dei suoi cittadini, la speranza di normalità, il diritto di pretendere che lo Stato assesti colpi mortali e definitivi alla ndrangheta. I reggini, quale che sia il loro orientamento culturale e politico, in comune hanno ormai chiaro un punto: fin quando non verrà sconfitta la ndrangheta (sconfitta, non indebolita o ridimensionata) non vi saranno speranze per la città, gli abitanti, i giovani, il futuro. Ecco perché vorremmo la sconfitta delle cosche dal match winner di turno.