LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Umbertina di Helen Barolini

LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Umbertina di Helen Barolini
Umbertina «Era una calabrese di montagna e camminava eretta, a differenza dei calabresi della pianura, gente fiacca e magra, piegata dalla malaria. I suoi occhi, pieni di una malinconica luce ambrata, le si addicevano, come pure le stava bene il nome con quella allusione alle ombre e al rosso scuro della terra d’ombra bruciata. Era di carattere taciturno, riflessiva, parca di sentimenti, tenace e di poche parole.» Umbertina Nenci portava gli animali a pascolare «sulle colline sopra Castagna» ed «era così che vedeva se stessa e la sua vita: la ragazza delle capre.» Sposa Serafino, il primo abitante di Castagna emigrato in America e poi tornato al paese per ammogliarsi e mettere a frutto la modesta agiatezza faticosamente conquistata. Quando i risparmi finiscono, le tasse del nuovo governo unitario si fanno troppo pesanti e le esigenza familiari aumentano (ci sono ormai tre figli), Umbertina spinge il marito a tornare in America con tutta la famiglia. «“È ora di pensare ad andare via” gli disse lei. Serafino resisteva. Cosa avrebbe lasciato ai suoi figli, chiedeva angosciato a Umbertina, se abbandonavano la loro terra e se ne andavano in America? “Non ti preoccupare”, diceva lei rassicurandolo. “Tu hai dato il tuo sudore e i tuoi muscoli a quel paese nuovo; adesso sarà lui a ridarti qualcosa per i tuoi figli.”» Arrivati in America, Umbertina lotta come una leonessa perché la famiglia raggiunga il benessere economico, un lavoro remunerativo e senza padrone, buon cibo, un letto pulito, una casa confortevole e la rispettabilità sociale: non più da italiani, bensì da americani: «Non si era mai lamentata, come avevano fatto le altre che piangevano la loro terra; non si era mai spaventata o persa d’animo – quelli non erano sentimenti suoi – ma a volte aveva provato rabbia contro quello che le era toccato combattere. La sua fedeltà verso la nuova patria era comunque illimitata, e quando il voto era stato concesso alle donne, lei aveva votato come cittadina americana.»

Umbertina di Helen Barolini, edito da Avagliano nel 2001, con una bella introduzione di Laura Lilli, è una saga al femminile che parte da un paese della Sila e lì idealmente si conclude quando una pronipote di Umbertina, che aveva ammirato la bisnonna di cui portava il nome ma con la quale mai aveva davvero parlato (la prima Umbertina non aveva mai appreso l’inglese), torna brevemente a Castagna: «Aveva cercato di comprare Castagna – le sue cartoline e souvenir, di mettersi in pace la coscienza con la promessa fatta al prete di spedire qualcosa. Ma con tutto ciò non aveva trovato Umbertina. (…) Castagna era stata una noce dura da rompere, e la colpa non era stata del luogo ma di lei, la cercatrice. (…) Perché la rivelazione che cercava non era nelle montagne della Calabria, ma nella propria mente.»

A far da ponte alle vicende delle due Umbertine, l’inquieta Marguerite, interessata alle arti e alla fotografia, madre della seconda Umbertina, moglie di uno scrittore italiano e amante di un altro, candidato allo Strega (particolarmente riuscita la ricostruzione d’una serata conclusiva del Premio, agli inizi degli anni Settanta dello scorso secolo).

Helen Barolini, italo-americana e moglie di uno scrittore italiano a lungo corrispondente de La Stampa dagli Stati Uniti, racconta l’epica quotidiana delle donne calabresi emigrate in America tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento in una saga che dà ampio spazio al difficile, non lineare processo di affermazione di un’autonomia femminile e alla contraddittoria identità di chi ha due patrie. Con toni che nella seconda e terza parte del libro si avvicinano al feuilleton, la Barolini ricostruisce non solo la fase iniziale dell’emigrazione e del primo inserimento nella nuova società ma anche la vita delle successive generazioni.

Umbertina, priva di qualsiasi romanticismo e ricca di un forte senso pratico, è il vero uomo della famiglia. Sue sono le decisioni fondamentali, sue le scelte con cui trasforma un possibile destino di precarietà nei ghetti di New York nel florido benessere di solida borghesia per figli e nipoti. Una matriarca attenta al cibo nutriente e alle lenzuola pulite, che solo alla fine della sua vita «pensava a quanto era strano che sebbene (…) tutte le decisioni e i progetti fossero stati a suo carico, ugualmente era il nome di Serafino che trionfava. (…) Dicevano che il mondo era dei maschi e, finché comandava ed esercitava attivamente il potere, la cosa non l’aveva mai infastidita; ma ora che era messa da parte come una vedova, accantonata perché mancava la figura del marito, questo era difficile da sopportare. Ora vedeva che nel mondo c’erano molte cose sbagliate.»

 

Helen Barolini, Umbertina, Avagliano editore, pp.512, euro19