In Calabria s’incrociano le pseudo civiltà e viene fuori il modello ibrido e assoluto del futuro. Sarà la perfezione della canaglieria strafottente e cieca, la creatura mostruosa figlia di una storia terminata anzitempo e della grave sconfitta di ogni speranza nel rendere il mondo un posto migliore.Da un lato il giovanilismo spinto, i bollenti spiriti dei conquistatori televisivi del mondo, la Novelle Vague dell’edonismo contrabbandato per libertà, le felicità a prezzi ridotti, l’appartenenza alla grande religione dell’orgasmo santificato; dall’altro l’arretratezza profonda e radicata, la totale mancanza di senso civico e civile, il trucco dinamico delle ingiustizie spacciate per consuetudini e tradizioni, l’alleanza di una generazione smarrita (quella dei genitori)che si è arresa all’impero del godimento solitario.
I giovani calabresi sono l’esempio italiano di ciò che avviene nel resto delle province del mondo. La presenza di povertà economica, miseria culturale, violenza sistematica e accettata come normale, le ambizioni indotte dal grande Totem del consumo ad ogni costo che suona la grancassa attirando nel circo delle finte estasi gli scompensati ormonali, il crimine dei falsi forti e la pseudo onestà dei falsi deboli, ogni cosa confluisce nella formazione del prototipo: il ragazzo del futuro, un ponte di vetro tra la scimmia e lo scimmione. Viene voglia di abbracciare cavalli e ricoverarsi in manicomio.
Non è solo violenza sessuale. Non solo la Notte di San Lorenzo, nell’omonimo paese, che diventa occasione di bisboccia alcolica e chimica, con le stelle oscurate dai fasci di luce di orrendi luoghi musicali. Non soltanto branchi di ipnotizzati che cercano Pokemon trascurando la bellezza reale. Non soltanto frotte di bambocci con il fisico scolpito in palestra, mantenuti da genitori consenzienti, che cercano i cinque minuti di celebrità che, a sentirli, gli sono dovuti e sono necessari per vivere. Non solo branchi di bambine vestite da mignotte già indirizzate al loro percorso di solitudine estrema e di dolore. Non solo fretta di entrare in questo zozzo mondo degli adulti.
Ma soprattutto la perdita di ogni volontà di collaborare al miglioramento comune, lo smarrimento del raziocinio, l’assenza di ogni forma di empatia. Lo straniamento e l’affermazione personale sono diventati norma. Il piacere è Dio. Il possesso il Figlio. La fuga dalla noia lo Spirito Santo.
Guardateli, questi ragazzi calabresi, simili agli altri ma con in più il germe della Malapianta ben radicato dentro. Le risse nei Lidi, questi Lager contemporanei, e ballare fino al giorno dopo col volume perfora timpani. Guardateli, come sono agghindati prima dei furibondi sabati sera. Guardateli e tremate. Siamo l’avanguardia del mondo. Cervelli a zonzo, apparati genitali in prima fila, cuore fuso nel calderone del consumismo e del mondo virtuale.
Studiano come degli hard disk. L’obiettivo è conseguire il pezzo di carta. Poi cancellano. Non sono interessati a nulla, se non alle astronomiche minchiate proposte al gregge da pastori senza scrupoli, come redenzione per una solitudine senza scampo. Sono vittime e carnefici, loro e i loro genitori.
Passano le ore guardando apparati elettronici, non sanno più cosa è la realtà, sanno tutto del sesso a dodici anni e non sapranno mai nulla della tenerezza. Sono perduti, irrimediabilmente, come perduta è questa nuova era del caos.
Non sono giovani. Sono cinici come vegliardi. Sono il nostro prodotto andato a male, per l’infiltrazione del terrificante virus della voglia di farsi Dio. Non conoscono dubbi, e seguono un pifferaio matto che se li sta portando via.
Sono giovani calabresi, sono giovani di ogni luogo sottosviluppato del mondo. Smarriti, ma convinti. Muoiono un tanto al giorno, senza interessi, e con in faccia la beatitudine degli sciocchi. L’abbiamo voluta, la società del capitale e del consumo. E adesso ce la teniamo. Questi sono i frutti.