Il recente intervento di Antonio Calabrò su Zoomsud, relativo a quella che lui definisce una nuova generazione senza santi né eroi, anche alla luce delle inquietanti notizie su violenze sessuali di gruppo perpetratasi nel nostro territorio, è davvero un intervento prezioso perché ci offre un assaggio amaro di verità circa il destino, le mode ed i caratteri che investono quelli che una volta avremmo facilmente definito i giovani e che, più correttamente, Calabrò dice cinici come vegliardi.Solo una cosa, però, non capisco e non condivido: questi davvero sono, come dice il romanziere reggino, i frutti della società dei consumi illimitati, della domanda insaziabile (anche nella “povera” Calabria) ma, a mio parere, non sono i frutti propri del mercato, della concorrenza, di quella che lui definisce – utilizzando un’espressione caratterizzata ideologicamente - la società del capitale.
La Calabria del consumo spicciolo, immediato e miope , della mancanza di intraprendenza, di sacrificio e di impegno, è vittima di un cronico clientelismo, della cultura del favore e di troppa economia pubblica. La carenza di lavoro e di coraggio giovanile non dipende dai mali del capitalismo (alle nostre latitudini non pervenuto) ma dalla gestione politicante ed opportunista delle risorse trasferite dallo Stato; una gestione che ha fiaccato gli spiriti ed asservito le anime dei tanti questuanti.
Il capitalismo, quello vero, non si fonda sul consumo facile ma sul risparmio; la sua sede naturale è il libretto di deposito (paradigma del consumo rinviato e, per ciò, razionale) e non il portafoglio bucato. E mentre il “conservatore” Hayek invitava cittadini e statisti ad avere una visione di lungo periodo nella gestione delle risorse (una visione anche e soprattutto morale), e mentre il “cristiano” RÖpke fondava la propria difesa del mercato sul valore spirituale della persona, i “progressisti” keynesiani rinnegavano, come allegre cicale, il problema del lungo periodo (perché' nel lungo periodo si è tutti morti). Ed ancora oggi, gli ammirati intellettuali ed economisti alla moda, spingono per lo sbilanciamento come risposta alla crisi (che è innanzitutto spirituale), per l’amministrazione “facile” dei soldi pubblici, magari ancora nel nostro Sud dove il problema non è quello delle scarse risorse statali e para statali, non è il problema di pochi enti pubblici (inutili) o di pochi dipendenti (raccomandati), ma è, al contrario, difficoltà di gestione efficace, mancanza di meritocrazia, assenza di servizi idonei, oblio della cultura del duro lavoro … il solo davvero legato a vere opportunità e vero progresso. Allora, mi verrebbe da dire seguendo Calabrò: abbiamo voluto la società dei consumi, dello spreco, dello sperpero immorale e del vuoto nichilistico ... ed ora ne paghiamo lo scotto !!! Ma il mercato ed il capitale di rischio e di impresa (questo sconosciuto) lasciamolo in pace.