LA PAROLA e LA STORIA. Crapi, cani e lupi

LA PAROLA e LA STORIA. Crapi, cani e lupi
caniecapre

… Calabria,

Capre sulla spiaggia …

F. Costabile

Dunque, come diceva Saba, il  belato della capra diventa sintomo del dolore universale e la rende molto  vicina all’homo viator.

Teneva compagnia ai poeti, non solo a Virgilio:  ad Antonimina (RC), nella seconda metà secolo scorso,  era possibile ‘incontrare un vecchietto esile, delicato e affabile con tutti, che si avviava con la ‘trastina’ sulla spalla sinistra e la cordicella della capretta in mano’(C. Filocamo, Micu Pelle: la sua vita, il suo tempo, in Strifizzi e spiranzi, p. 10). Era stato emigrante in Argentina, sindaco e amministratore per più di vent’anni, poeta e combattente per la causa degli oppressi e si chiamava Micu Pelle (Ogni lavuraturi m’è cumpagnu / e comu frati l’ajutu e difendu /a morti e la galera non mi spagnu / sannu che non mi torciu e non mi vindu, ibidem, p. 71). 

Rifrischi e riposi per saecula saeculorum.  

La capra, in una società che non conosceva il ‘mercato’ e i frigoriferi, garantiva, in cambio di una spesa relativamente modesta, il ‘latte quotidiano’ a bambini e a vecchi, poco adatti alla sottonutrizione che piagava gli altri.

E questo in cambio di una buona protezione dalle intemperie (A piecura dici: trippa china e malu riciettu / a crapa dici: menza trippa e bonu riciettu, Padula 1967, p, 135) e di foraggio d’accatto: Un corpu i ccà, un corpu i ddha / a crapa si gurda e u ranu si fa – una pascolata di qua, un’altra di là, / la capra si sazia e il grano cresce lo stesso (Proverbio segnalato da E. Chiera).

Naturalmente qualsiasi sogno ‘imprenditoriale’ delle società contadine non poteva che partire da un animale che costava poco e che si manteneva con meno:  Nu jornu mi cridia d’essiri papa  / e mi sugnu trovatu essari pupa. / … a cuntu propriu m’accattai na crapa /si la mangiaru cincucientu lupi (Padula 1967, 136).

I cinquecento lupi che si mangiarono il sogno imprenditoriale del villano ottocentesco erano da cercarsi tra le classi parassitarie della Calabria di allora; ma quante analogie con chi oggi tenta ‘d’esseri papa’ e incappa in affitti, utenze, istituti previdenziali, i pretendenti del ‘pizzo’, e, più esiziali di altri, le cinquecento fameliche voci del fisco; come sa chiunque ha avuto a che fare non dico con Equitalia ma, soltanto, con le agenzie delle entrate.

Eppure, quando il fisco non era attrezzato come oggi, un capraio poteva pure sopravvivere e mandare avanti la famiglia con un piccolo numero  di animali.

A Melito era facile incontrare fino agli anni settanta del secolo scorso il capraio che portava le capre per il paese e mungeva il latte porta a porta.

Ma non era un’eccezione: “Un’impresa armentizia caratteristica della Calabria è quella dei caprai: questi sono in possesso di un gregge composto da un limitato numero di capre (quindici, venti capi) che portano in giro per i paesi per provveder e il latte, mungendolo sulla porta stessa dei clienti!” (F.A. Angarano, Vita tradizionale dei pastori e contadini calabresi, Firenze MCMLXXIII, 229)

Sul ‘popolo capra’ che ha la sfortuna di commettere qualche reato, e sulle  reazioni del ‘lupo’ in cui si metamorfizza l’apparato repressivo dello stato, lasciamo la parola a Pasquale Cavallaro (Lu comiziu di li lupi eccetara, 1961, pp. 30.31), indimenticato sindaco e poeta di Caulonia, versi cuciti di esperienza amara:  

Na vota chi lli crapi ebbiru tortu / Di si trovari a pasculu abusivu, / llu lupu, sempri giustu e sempri accortu, / nci spiccau nu mandatu collettivu. /// Lu zzimmaru, scornatu e menzu mortu, / cercau m’arma un pianu difensivu; / ma lu lupu, nimicu di lu stortu, / li cundannau mi paganu lu sivu. /// Dissi: “chista è na vera associazioni: / scurrinu, armati, li munti e lli chiani, / e già la proprietà va ‘mperdizioni. /// Ed eu vogghiu li cosi giusti e sani”. / Nfina chu vi lu cuntu e vi lu dicu / Lu lupu si portau di veru amicu.

Su ‘crapi e politica’ manca un antico ma sempre  attuale proverbio: Ficiru paci li cani e li lupi / poveri caiureddhi e tinti crapi.  Sostituite i cani con i partiti di sinistra e i sindacati dei lavoratori,  i lupi con i partiti e le associazioni padronali; i ‘crapi’ sono i lavoratori e i ‘ciaurèddhi’ sono i loro figli, anche grandi che vivono nella disoccupazione e nell’indigenza senza che nessuno difenda i loro diritti; infatti i ‘cani’ che dovevano fare questo hanno fatto pace con i lupi che li vogliono sbranare: governi di emergenza, ‘Koalitionensregierungen’, governi di unità nazionale (con lupi e cani assieme e appassionatamente) hanno ottenuto l’unico risultato di aumentare la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri;  poveri e ‘tinti’ questi ultimi, dunque.

Le analogie tra ‘animali minuti’ e gli umani a volte sfociano in espressioni feroci che, spesso, travolgono una intera comunità: Vinni maravigghiatu di Righudi / non sacciu comu càmpanu ddhi mari / l’omini su testi di muntuni / Li fimmini su crapi campanari / A lu mulinu vannu a schiera a schiera / tràsinu strippi e nescinu lattari (La coppia di versi conclusivi li ha evocati dall’oblio Rossana Sarlo).

Il testo necessita di chiarimenti: crapi campanari sono quelle più robuste, cui il pastore lega il campanaccio al collo per orientare il gregge. Strippa-strippi è aggettivo (dal greco classico sterifos-e-on, improduttivo) che indica le bestie che non hanno figliato e quindi non producono latte (il nesso strippi e lattari, pur spregiativo, indica l’intera comunità, tutti in processioni, strippi e lattari).

Il sui ‘richudisi’ è doppiamente offensivo: paragona le donne alle ‘capre campanare’ che comandano il gregge e, subito dopo, ci dice che fanno la fila per entrare al mulino: dove entrano senza latte (strippi) ed escono che sono in grado di produrlo, perché ingravidate durante la visita.