Operazione verità: condivido la sollecitazione di Aldo Varano a proposito delle Reali Ferriere di Mongiana. D’altronde, il Museo, che nasce non come ‘cosa morta’ o come espediente per utilizzare risorse pubbliche, diventerà per davvero ‘cosa viva’ e interessante e saprà farsi apprezzare, nella misura in cui sarà in grado, oltre che a far conoscere (opera di per sé meritoria) un pezzo di storia importante che vide pulsare nelle Serre un polo siderurgico dalle dimensioni imponenti, di organizzare dibattiti e confronti anche aspri sul passato di questa parte della Calabria e sulla realtà del Mezzogiorno italiano nello scenario geopolitico internazionale del nostro tempo difficile. Oggi il Museo, per la realizzazione del quale si è appassionatamente prodigato il bravo sindaco Bruno Iorfida col sostegno finanziario della Regione, è fruibile in modo esemplare. E’ tecnologicamente all’avanguardia e costituisce una formidabile infrastruttura culturale ispirata da documenti storici, immagini, video, preziosi reperti archeologici e darà (si spera) impulso (anche turistico) al sospirato riscatto di una delle aree più depresse del Paese. Io l’ho visitato. So che i suoi promotori ci stanno mettendo l’anima per disseppellire in maniera intelligente (sotto la stretta vigilanza della Sovrintendenza archeologica) una pagina di storia dimenticata; non hanno alcun pregiudizio, tantomeno s’intuiscono innamoramenti per ‘Re Bomba’, e, anzi, sono ispirati da una visione culturale “unitaria” ed europeista; in nessun modo si rinvengono incensamenti neoborbonici o tentativi surrettizi per riabilitare il dominio (autoritario e prepotente) di una delle più antiche famiglie reali europee del XVI secolo.
Lo scopo infatti non è questo. Bensì, quello di raccontare cosa hanno rappresentato le Reali Ferriere Borboniche per la Calabria di quel tempo e l’importanza che ha avuto il polo siderurgico intorno al quale è sorta la comunità di Mongiana. Come venivano gestite? Non certo coi guanti di velluto. Non c’era ancora la Costituzione e neppure lo Statuto dei lavoratori. E ci vorrà l’altrettanto sottaciuto decennio (’43-’53) di lotte per la terra perché i contadini entrino nella storia da protagonisti.
Perché sono state cancellate con l’unità d’Italia? Le spiegazioni sono tante; e nel groviglio si ficcano pure i punti di vista più o meno dettati da “altre” esigenze e alcuni, evidentemente, palesemente viziati da infantilismo meridionalista. Il fatto incontrovertibile è che defunte le Ferriere, l’area in cui erano sorte ha sofferto miseria ed emigrazione. Emigrazione e miseria. Si facciano dunque le operazioni verità auspicate da Varano.
In un tempo in cui non si discute più, sarebbe un buona cosa e saggia, se proprio Mongiana, in forza dei suoi trascorsi e delle molte emergenze sociali del presente, montasse una serie di confronti (con accademici, storici, giornalisti e personalità di spessore del mondo della cultura e della società) sugli interrogativi e le questioni poste da Aldo Varano.
Non certo per riempire i vuoti con banalità e frasi sincopate, ma con l’intento di vedere meglio alle nostre spalle, di inquadrare con lucidità, nel suo contesto storico e senza strumentalizzazioni di vario segno, il significato economico e sociale che ebbero la Fabbrica d’Armi e le Reali Ferriere di Mongiana. E iniziare, perché no?, a dare risposte alla cruciale domanda di adesso (che rievoca il romanzo di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij e una decisiva opera di Lenin): che fare?
*giornalista