
Questo libro è una specie di storia del travaglio intimo del suo pensiero e della sua vita, quasi una confessione che egli fa di sé con se stesso e col lettore, un riconoscere i debiti che ha contratto con i propri familiari, con maestri e con amici. Tutta la parte delle biografie e dell’autobiografia che ha attinenza sia con la storia politica che con quella familiare, è di lettura profonda. I più curiosi accidenti sono raccontati con grande serietà, sottolineati da un baleno di compiacenza, ma anche da una forma di profonda commozione: si vedano, in proposito, le pagine sul padre, <<amorevole cornice dell’adolescenza e della giovinezza e compagnia discreta per altri lunghi decenni di vita>>.
Pagine quelle di Tripodi che mi richiamano, tra i tanti, quelle di un vecchio collega e caro amico, calabrese di Soverato (Antonio Barbuto, autore de La protesta, l’utopia, lo scacco. Il <<Te Deum>> de’ Calabresi di Gian Lorenzo Cardone, Roma, Bulzoni nel 1975) o la anche la premessa di Zanotti Bianco ad Antonio Martino de La preghiera del calabrese al Padre Eterno contro i Piemontesi, (<<Il Ponte>>, 6, pp. 1254-57) o, ancora, alcuni versi di Michele Pane (calabrese di Adami, piccola frazione di Decollatura, Catanzaro) , emigrato giovanissimo negli Stati Uniti che scrive al padre, sentendosi ormai pienamente americano: <<Dear Tata / te fazzu chista littera / ppe’ te dire ca io vorra mu venissi / puru tu dduve figliuta alla Merica / pperchì all’Italia ‘un c’è cchi fari cchiù…>>.
È rilievo importante il fatto che il paesaggio si accentri quasi sempre attorno a figure umane che lo animano e lo caratterizzano; Tripodi non ama i paesaggi senza l’uomo; da qui l’invito, a chi voglia occuparsene, <<a tenere in cura il cognome>> e ad avere considerazione <<per la contrada da cui proviene>>. Anche quando ironizza, satireggia o semplicemente gioca con tono umoristico e caricaturale, egli mira sempre al segreto sostrato spirituale: l’ironia è appena uno schermo ed una difesa contro la vana retorica e scompare del tutto là dove la sua umana comprensione degli umili e del loro mondo riscalda il sentimento.
Delle nostre terre meridionali, della Calabria in particolare, anche altri autori hanno espresso, come Tripodi, il senso concreto e vivo che si potrebbe chiamare agreste. Fa piacere ascoltare uno scrittore che parla di campagne, di piante, di alberi e di coloni per esperienza viva e diretta, figlio di una terra dove suo padre <<ha sempre fatto il contadino>> e dalla quale si è <<allontanato solo per brevi periodi>> e solo a causa delle cattive annate agrarie. Assai belle le pagine familiari, quelle dell’abitazione di contrada Grillà ….. il forno per la panificazione familiare, la cucina, la stalla, la “zimba” per i maiali e un riparo per ovini e caprini, con l’acqua da attingere alla Fonte Aranghia lontana un chilometro …
L’opera si propone di narrare i casi del “cantastorie” Otello Profazio, dello “scrittore” Saverio Strati, e dello “storico” Rosario Villari, tre rappresentanti del Novecento calabrese, attraverso succulente biografie, che lasciano parlare il più possibile i fatti e i personaggi medesimi. Questi saggi sono già apparsi su riviste prestigiose come “Belfagor”, “Quaderni di Storia” e “Annali del Liceo Classico di Tivoli”. Sono lavori legati da un metodo e da un pensiero comuni, sicuramente destinati a manifestare l’estensione del campo storico.
Egli coglie benissimo l’incontro di una materia ricolma di sentimenti elementari e popolareggianti con un gusto letterario scaltrito e pronto; viene così a crearsi un felice equilibrio, che si rispecchia nel tono del linguaggio dove il dialetto si fonde garbatamente nella lingua, si veste di una patina illustre, pur serbando a tratti nel lessico e nella sintassi la sua indole primitiva e popolare. Qui raccoglie una folla di osservazioni particolari fini e gustose, talora appena accennate, sempre svolte con la sobria accortezza, tipica dell’uomo esperto delle cose politiche, ma non ignaro delle passioni e degli affetti.
Otello Profazio! Ne ho sentito parlare per la prima volta nel 1964; in quella occasione Gabriella Ferri si era imbarcata in una avventurosa tournée in Canada, insieme con altri esponenti del folk come Caterina Bueno e Otello Profazio. I nostri emigranti s’aspettavano di vedere gli artisti coperti dal costume regionale, invece si videro di fronte una spilungona in minigonna, che non piacque; salvò la situazione Profazio, con il suo repertorio popolare classico; la cosa si riseppe in Italia e fu apprezzata … . Ai pedanti increduli sembrerà impossibile l’esistenza di un Profazio scrittore, anche se egli stesso è il primo a gratificarsi d’illetterato, ma sempre con <<gli occhi dalla parte di chi lavora la terra>>. Tripodi ne parla come di un <<intellettuale organico che si è letteralmente donato al mondo contadino>>, seguendolo anche nel nord dell’Italia, quando quel mondo si disgrega. Così si riconosce l’artista, un galantuomo italiano con il quale è difficile fare i sofistici. Il meglio del suo temperamento e dell’arte sua Profazio se l’è forse già detto da solo, con un gusto che lo ha accompagnato da sempre negli incontri umani, nella gran raccolta delle sue creazioni, nelle sue varie esperienze. Così facendo Profazio, della vita, ne ha fatto scena popolare, spunto spettacolare, materia graffiante, ma soffice. Vediamo, anzi, udiamo ancora oggi quel modo di essere vivi.
Le pagine su Saverio Strati si aprono sul registro ironico e prendono le mosse dai danni provocati dalla pericolosa epidemia, la ‘ndranghetite (imputabile al batterio denominato ’ndranghitus cerebri); l’autore indaga poi l’opera narrativa stratiana alla luce della ‘ndranghetologia letteraria che mira a censire la presenza di storie di mafia nei romanzi e nei racconti dello scrittore di S. Agata del Bianco.
Rosario Villari! Al solo leggere questo nome, la maggior parte dei lettori ricorderà un valido strumento didattico, ossia il manuale di storia per le scuole medie superiori giunto, se non vado errato, alla trentesima edizione; so quanto un simile libro abbia giovato alla scuola. Villari, calabrese di Bagnara Calabra, professore universitario di Storia Moderna, visiting professor ad Oxford e a Princeton, direttore di “Studi Storici”, socio corrispondente dei Lincei, deputato del PCI, ha studiato, alle origini della questione meridionale, le trasformazioni della proprietà fondiaria nel 18° secolo e le condizioni economiche sociali dei contadini del Mezzogiorno dalla metà del Seicento alla unificazione nazionale. Tra le molte altre ricerche, ha approfondito i contenuti politici dei movimenti popolari di protesta nel 17° secolo.
Quando si arriva a leggere Minima personalia, l’interesse aumenta, così come l’attenzione; sono meditazioni, riflessioni, appunti, commenti, ricordi con i quali un uomo d’ingegno ha accompagnato di giorno in giorno la propria vita. Gli anni tiburtini, per esempio, sono narrati quasi con pudore; via via che il suo racconto procede, egli sa insinuarsi e farsi strada così bene, che alla fine si ha l’impressione che sia stato lui il vero protagonista di tempi che ricordiamo difficili e violenti, in particolare modo nelle scuole. So bene quali e quante difficoltà si sono presentate a molti docenti, nel loro coraggioso tentativo di illustrare la formazione della dottrina marxistica e la sua vera posizione fra le correnti filosofico-politiche, alla scoperta del suo essenziale significato, tanto discusso e tanto frequentemente frainteso. In questo caso non c’è posto per l’esuberante fantasia, per la sovrapposizione personale, per la notizia disinteressata, ma solo la descrizione di un ambiente in cui una personalità come quella di Tripodi emerge divenendo popolare.
Duole al recensore che la realtà tirannica del tempo e dello spazio non gli consenta di soffermarsi più diffusamente su queste pagine; sarebbe stato invero assai interessante rivederle al lume delle più recenti esperienze dell’Autore. Tripodi è figura troppo seria e pensosa, perché dopo il necessario equilibrio della fase creativa, non voglia rivedere il proprio passato. Egli ha scoperto nel proprio animo le ragioni poetiche di tutto ciò che è umilmente umano, facendo degli umili un mondo delicato e affettuoso. In quest’aura tersa e pulita, con quella stessa virtù di intendere, di scegliere e di comporre, Tripodi ci ha dato il suo Cola Ierofani. Sì, mettiamoci anche questo disegno ben inciso, questo spettacolo puro, questo canovaccio gratuito ove si svelano e si rivelano finezza e gentilezza, che sono i segreti di Tripodi, scrittore popolaresco infinitamente aristocratico!
*già professore universitario di Storia Moderna all'Università di Urbino
**Giuseppe Tripodi, Ritratti in piedi del Novecento calabrese, Città del Sole Edizioni, 2016, pp. 176