
Il proverbio, sottolineando che non si possono nascondere a lungo (mmucciari), unisce, come esperienze non positive, l’indigenza e la gravidanza: ‘mprenatura, messa incinta, da ‘mprenare, ingravidare delle bestie e, spregiativamente, della donna, latino prae-gignere (derivato da prae-(gi)gnus-a-um, pregno, Migliorini-Duro) porre una femmina nella condizione che precede il parto, o, forse anche, da un plenare, verbo deattributivo da plenus-a-um, riempire di una vita l’utero della mamma.
Cu è prena figghia (chi è gravida figlierà) garantisce l’inevitabile esito di ogni gravidanza, anche di quelle che si volevano tenere nascoste; cu si mprena cu tia non fìgghia mai si dice a un partner inaffidabile, incapace di condurre a buon fine l’inizio di un affare dimostrandosi, evidentemente, di non essere buono non pe’ futteri, no pe’ mprenari e non pe’ fari a guardia ove si stigmatizzano sia l’impotentia coeundi che quella generandi nonché l’incapacità di fare la guardia agli amanti.
La povertà, d’altra parte, ha il pregio, assieme al carcere e al bisogno (necessitati), di scremare i falsi amici: carciri, povirtà e necessitati / scumbògghianu (letteralmente ‘tolgono il coperchio’) lu cori di l’amici nonché i falsi parenti: cu è poviru e cu è malatu / lu perdìu lu parentatu.
E poi basta poco, una figliolanza numerosa di discendenti, per passare dal benessere all’indigenza: terra spartuta an povirtà diveni, la divisone delle terre rende poveri. Una specie di spot in difesa del maggiorascato, l’istituto del diritto successorio che permetteva, fino all’Età dei Lumi, di lasciare i beni immobili al figlio maschio più grande di età.
E, in una società poco fluida come era quella contadina, la transitio ad plebem, come all’inverso l’ascesa sociale, venivano bollate e temute come cose molto perniciose: Diu mi ndi libera d’u riccu a mpoveriri e d’u poviru a ricchiri, Dio ci liberi dal ricco che si impoverisce e dal povero che si arricchisce.
In ogni caso, nelle crisi, è dei benestanti che ci si deve preoccupare perché il povero è ormai abituato alle ristrettezze: jùta lu jutàtu / chi lu poviru è mparatu! Anzi, più uno è povero e più bisogna spingerlo nell’indigenza: a cu ndavi un pidocchiu ggiungitinci n’atru, ccussì fannu famigghia (i pidocchi ).
Poviru si ma / lordu pirchì, declina la non coincidenza tra povertà e sporcizia, dato che la pulizia costa meno ed è più facilmente accessibile del benessere.
Lu Signuri a lu poviru nci dessi / la ricchizza di la povertati, ove, con tutta evidenza, ci si riferisce alle virtù di chi è in povertà (continenza, frugalità, quando lu pover’omu si ripezza / pari comu di novu si vestissi, citato in Isa Chiapparella Rianò, Proverbi e detti della Locride, Reggio Calabria 2008, p. 82) considerandole come dono divino e quindi da seguire, anche per i ricchi, se si vuole evitare di finire sul lastrico: tènila china (idest la borsa) quando è china / chi quando lu fundu pari non nc’esti cchiù chi fari.