Già... il 17, sempre di maggio, è la giornata internazionale contro l 'omofobia. E non puoi certo pensare che Tizianeda non dispieghi la sua lucida argomentazione (é un’avvocata no?) e il suo coraggioso armamentario di sincerità-chiarezza-verità del sentire per metterne a fuoco la problematica. Per dire ancora una volta che il racconto mistificato sulla natura umana, sulla sua unidimensionalità e sul suo violento assoggettamento ad un ordine storico- sociale dato come naturale, crea tanta infelicità tra i mortali. E come, viceversa, uno sguardo di terenziana umanità (ah Terenzio!), alleggerisca la condizione della specie, regalandole perfino la parte di felicità riservatale.
Ma...chi si ferma la perde!
Perché ieri, Tizianeda, con una delle funamboliche mosse a cui non ci ha ancora sufficientemente abituati, pare accantonare la pretesa di muoversi tra gli universali del giorno precedente (gli umani, la felicità etc), tornando nella più dimessa icona del noncelapossofare, ovvero, al cambio stagionale degli armadi tra le mura dei suoi 90 metri quadri.
E qua prende forma, in tutta la tensione della propria contemporaneità femmina, la Tziana -Venere di Pistoletto, l'armonia della sua mente che scrive (il suo pensiero le porge sempre una penna) e, di fronte, un accumulo di "domestitudine" che la interpella. E se Venere rimane imperturbabile di fronte agli stracci … una donna in carne ed ossa invece sa -e Cielo come lo sa! - quanto sia ineludibile la perentorietà con cui la domestitudine le si rivolge.
All' improvviso, però, delle voci... ed ecco, gli intriganti stracci di Tizianeda-Veneredel Pistoletto iniziano sorprendentemente a parlare. Vogliono, devono raccontarsi. Salgono sul palcoscenico della vita e mettono in scena pezzi di biografie, intrecci di una fabula comune che loro chiamano esistenza umana: un unico tema, è vero, ma le cui variazioni, ad ogni tornante, appaiono talmente nuove e imprevedibili da farcene dimenticare il canovaccio.
E Tiziana si concilia come sempre con la domestitudine, lasciando che oggi i suoi abiti smessi ci raccontino la vita. Che ricordino a lei e narrino a noi l'incontro con altre esistenze, altre circostanze, altri eventi; gli incroci con l'amore, e… con il dolore, e con la gioia, e con la solitudine, e col noncelapossofare e... con tutto ciò ancora che appare a noi come compimento del nostro individuale e "specialissimo " destino.
Appare a noi... perché essi, gli abiti smessi, dico, e le altre cose che pur accompagnandoci sanno essere più obiettivi del nostro Io, essi vedono che tutto ciò che raccontano non è altro che una replica, una declinazione infinita di toni e sfumature della comune storia della vita umana.
Ed è ciò che Tiziana vede e sa raccontare, e noi, che lo sappiamo fare un po' meno, ci riconosciamo nell'aggraziata profondità del suo sguardo, facendoci sorprendere ogni volta da calde emozioni
Ps - Ma saremo mai capaci noi Reggini di un'iniziativa che porti questa nostra luminosa scrittrice all'attenzione nazionale?