Disputarsi lo scranno più alto dell’Amministrazione comunale nelle ultime settimane d’estate non è il massimo. Sarà, anzi è, una campagna elettorale strana, ancora svogliata, destinata più che altro ad animare le cene estive in cui i reggini di rientro tentano di spiegare ai reggini stanziali quanto devastata appaia la condizione della città agli occhi di chi vive tutto l’anno lontano dallo Stretto.
Un po’ per il Covid un po’ per la lunga crisi, Reggio brulica di reggini che sono in città a trascorrere ferie più lunghe del solito e che, loro malgrado, si trovano immersi in lunghe discussioni tra falcomatiani (pochini e taciturni), ex scopellitiani (in grande spolvero dopo la bufera carceraria) e pezzi di altre cose. Con una singolarità ossia che i reduci partecipano alle chiacchiere politiche e ai salotti in riva al mare pur essendo tutti certi di non partecipare al voto o perché residenti altrove o perché ormai distanti dalle convulsioni e dalle mefitiche esalazioni (la spazzatura) che promanano dalla città.
Eppure il voto mai come questa volta appare un dovere irrinunciabile da esercitare con libertà e consapevolezza. Mai come in questo tempo Reggio si percepisce come affrancata dalle due ombre minacciose che ne turbavano la tranquillità e la serenità. Per ragioni solo in parte connesse sia la mafia che l’antimafia sembrano assenti da questa competizione e non si può negare che si tratta di due delle principali forze che si contendevano il dominio sulla città nell’ultimo decennio. I grandi colpi ricevuti dalle cosche e una sobrietà istituzionale e comunicativa dei magistrati sembrano due approdi importanti per mitigare una fibrillazione sociale, politica e finanche emotiva che la popolazione avvertiva da oltre un decennio come un giogo insopportabile. Nessuno può dubitare che liberarsi definitivamente dei boss resti una priorità assoluta, ma sarebbe offensivo per chi ha tanto operato negare che per le strade sono rimaste solo le seconde e terze fila di ndrine che hanno ormai consumato il trasferimento altrove delle proprie risorse e il ricollocamento sociale dei propri discendenti in luoghi solo in parte noti. Il resto marcisce in carcere.
È una scommessa che non mancherà di una verifica, ma questa volta potrebbe essere che le cosche stiano praticamente ferme e, salvo che per distribuire qualche voto agli immancabili amici e parenti, si terranno distanti dalle urne non fosse altro che per timore delle centinaia di intercettazioni che monitorano la vita cittadina. In questo scenario inedito, in questa recuperata compostezza della comunicazione giudiziaria che, visibilmente, ha prosciugato le fonti di un certo giornalismo scandalistico del “copia e incolla”, colto da improvviso panico e imprevisto nervosismo, i reggini devono esercitare fino in fondo la razionalità che un voto così importante esige.
Risorse ingenti pioveranno in città nei prossimi anni. Reggio verrà contaminata nel processo di modernizzazione ormai ineludibile di tutto il Mezzogiorno. Tanto più dopo aver strappato con un provvedimento governativo inedito la cancellazione dei debiti comunali accumulati nel tempo. E’ necessario, quindi, che al timone dell’apparato comunale vi sia una classe dirigente, se non capace, quanto meno “non incapace”, consapevole delle urgenze e delle loro soluzioni e, soprattutto, del fatto che occorre liberare Reggio da un pregiudizio di mafiositá che la sta affossando agli occhi del mondo nell’interesse di pochi.
Da questo punto di vista la finestra di libertà consegnata agli elettori del prossimo settembre è straordinaria e, forse, irripetibile. Come in un immagine di “Miracolo a Milano” è un raggio di sole che squarcia le nubi scure e al cui tepore occorre rinvigorire le stanche membra dei reggini. Quale che sia la qualità dei candidati si voti senza scetticismo e senza paura, come non accade da tanto tempo.
*magistrato