“Calabria aspra” è il titolo di una leggendaria inchiesta del 1992 di Giorgio Bocca, di cui proprio in questi giorni ricorrono cento anni dalla nascita. Il reportage era stato ripubblicato da Rubbettino nel 2011, con una prefazione di Eugenio Scalfari, nella meritoria collana “Viaggio in Calabria”. E il grande giornalista inizia il suo viaggio in modo spettacolare, “sbalorditivo” come scrive Scalfari:
“Nel 1968 a Saigon, Vietnam, alloggiavo all’hotel Metropole in una stanza liberty color avorio, solo il geco incollato al soffitto mi ricordava che ero nel lontano sud-est asiatico. Nella sala da pranzo camerieri in giacca bianca servivano tournedos alla Rossini e, volendo, lo chef ci faceva le crèpes alla fiamma. Poi uscivo e a duecento metri passavo lungo la caserma dei ranger vietnamiti con le porte e le finestre murate, perché non si vedessero, non si sentissero i prigionieri vietcong chiusi nelle gabbie di bambù nel grande cortile, corpi martoriati dalle torture sotto i pigiama neri.
Oggi, 1992, sono in un hotel della Locride, Calabria: se premo il bottone verde sul comodino si illumina un video, c’è scritto se mi ha chiamato il giornale o se mi ha cercato da Milano mia moglie; se invece premo il bottone rosso la serranda della finestra si alza con un lieve fruscio e posso vedere l’Aspromonte, i suoi boschi fitti e so che in uno di quei boschi, forse vicino, c’è un uomo che sta da mesi, da anni - due anni il giovane Celadon - in una tana alta mezzo metro e quando lo fanno uscire deve star lì sulla bocca della tana, legato a una gamba con una catena, come un maiale.” Oggi, osserva Scalfari, quella guerra è finita e Saigon è una città moderna e ricca. Qui in Calabria la guerra sembra non finire mai.
L’inchiesta toccava con mano decisa e sguardo impietoso gli aspetti più sconvolgenti della società calabrese. Intrecci perversi tra criminali comuni e uomini delle istituzioni, storie inquietanti di personaggi corrotti e corruttori, semplici affiliati e spietati capibastone, centinaia di morti ammazzati, l’inganno dell’industrializzazione, il mancato sviluppo e, al contrario, la nascita e il diffondersi dell’impero del male della ‘ndrangheta padrona e dei suoi traffici miliardari che si espandono da “ Platì e dagli altri borghi-rifugio, gli ordini e gli affari arrivano a Milano, a Marsiglia, ad Amburgo, a Bogotà, a Tokyo, in Kossovo, in Montenegro a Mosca”. Ovviamente suscitò grande scalpore e non mancarono puntuali le risentite “proteste” della classe politica calabrese, che si scagliò contro il giornalista piemontese, accusato di pregiudizio nordista e filoleghista, nemico della Calabria, reo, in effetti, di aver descritto con straordinaria efficacia, da professionista eccellente, una realtà drammatica in violenta contraddizione con la sua storia e le sue straordinarie bellezze naturali.
Da allora sono passati circa trent’anni, la situazione è affatto migliorata, se possibile è notevolmente peggiorata. Nel senso che è aumentata l’emarginazione dei territori, il gap economico e sociale nei confronti del resto del paese e dell’Europa. La ‘ndrangheta spara di meno, perché non ha bisogno del piombo per espandere in modo globale i suoi loschi traffici, da tempo il core business non è più l’organizzazione dei sequestri, divenuti dispendiosi e altamente rischiosi. Sicuramente nel Museo di Reggio, non ci sono più “i custodi e guide analfabeti che rispondono alle domande con grugniti”, perché vivaddio, anche dalle nostre parti c’è ormai un forte anelito alla modernizzazione, che la sfida europea ormai ci impone. E proprio gli scritti memorabili di Giorgio Bocca ci dimostrano che c’è bisogno di cambiare radicalmente non solo la narrazione della Calabria, ma principalmente prendere coscienza della non più rinviabile inversione di rotta da parte della politica, ma soprattutto da parte della società calabrese, in tutte le sue articolazioni migliori, che non può indignarsi di fronte al racconto che si fa delle vicende e delle cronache calabresi, perché “non possiamo omettere parte del racconto”, come proprio in queste stesse ore in cui si ricordano i cento anni dalla nascita di Bocca, ci suggerisce lo scrittore calabrese Gioacchino Criaco, che con un gruppo di giovani di “Insieme per Africo”, con scrittori, giornalisti, artisti e uomini di cultura si è reso promotore di un appuntamento ormai annuale sull’Aspromonte per avviare una vera “rivoluzione di pensiero”, prendere coscienza della nostra storia, perché “la conoscenza serve per produrre, non per consolare”. E Criaco è convinto che occorre superare “la narrativa del ritorno”, perché se non si riesce ad innestare il seme del cambiamento radicale e profondo “Tra una decina d’anni la Calabria non esisterà più”.
Allora, forse, avrà avuto ancora ragione, Giorgio Bocca, il grande giornalista di Cuneo, che seppe cogliere, con la forza lucida delle parole, senza cedimenti alla retorica, il tormento antico di un popolo e di un territorio complessi, che si dibattono da sempre tra il disperato bisogno di futuro e un eterno presente, in cui si perde lontano il ricordo nostalgico del nostro Paradiso perduto.