di MARIA FRANCO -
Ma i calabresi sono diversi dal resto degli italiani?
No e sì.
No. Sia perché ogni persona sulla terra, prima di essere europeo o asiatico, italiano o inglese, calabrese o sardo, è un uomo/una donna con un suo mondo interiore, una specifica vicenda individuale. Sia perché tutti gli uomini e le donne sotto qualunque cielo e in qualunque era, sono uguali. Percorrendo la storia e la letteratura mondiale, dovunque e in ogni tempo, s’incontrano amori e odi, passioni e indifferenze, invidie e generosità, gelosie e bontà, orrori ed eroismi.
Sì. Perché le umane caratteristiche s’impastano sempre con la storia e la geografia dei luoghi e ogni posto e ogni tempo ospitano persone che, per quanto uniche e irripetibili, ne sono comunque intrise (e li riflettono anche quando allo spirito dei loro tempi e dei loro luoghi si oppongono con ogni energia).
Dice Veltri che la Calabria (mi permetterei di aggiungere: e non solo la Calabria) ha bisogno di una narrazione normale.
Ovvero (pensiero mio) che – per spezzare il maleficio dei luoghi comuni che tendono a marmorizzare l’immagine della regione in una sorta di orrido castello d’una Bestia senza neppure una Bella salvatrice – bisogna raccontare la sua uguale diversità rispetto al Paese e al mondo.
La narrazione normale della Calabria – con i suoi mali e il suoi beni, le sue oscurità e le sue luci – non è mancata in questi ultimi anni. Anzi. Da Mimmo Gangemi a Gioacchino Criaco, da Mauro Francesco Minervino ad Angela Bubba, il presente e il recente passato della regione è stato raccontato con verità.
Ma quanto, alcuni libri e uno (o più) film possono incidere nell’immaginario collettivo, modificando, per dirla alla Criaco un annoso luogocomunismo?
Non poco. Ma ci vuole tempo. E iniziative culturali sul territorio: magari piccole, ma capillari, non comparsate inutili, ma occasioni di dibattito vere. E superamento di tanta spocchia vuota, di tanto provincialismo asfittico. E scuola. Tanta scuola: quando anch’essa non serva a far fare passerella a questo o quell’ intellettuale, ma a costruire ponti tra ragazzi e il mondo.
Già. Il mondo. Perché quanto più la Calabria si vedrà non come il centro (magari: il centro del male), ma come un pezzettino del mondo (minuscolo, problematico e splendido), tanto più riuscirà a raccontarsi per com’è: particolare e, in quanto tale, universale