Purtroppo, il dato reale, soprattutto nel Distretto di Corte di Appello di Reggio Calabria, ci consegna un modello opposto rispetto a quello da perseguire. Gli strumenti di comunicazione e i social, in particolare nella divulgazione delle vicende giudiziarie penali, ma non solo, si connotano per la lesione costante dei diritti del cittadino. Si crea, attraverso la divulgazione di atti giudiziari riservati, con tanto di nome e cognome di soggetti indagati, ma anche di altri non indagati, uno stato diffuso di soggezione, di paura nei cittadini, che finiscono per temere, soprattutto se innocenti, non tanto l’azione giudiziaria quanto l’aggressione mediatica.
Quest’ultima, a differenza dell’azione giudiziaria, è lesione integrale della personalità dell’individuo e della sua famiglia nella comunità di appartenenza e avviene fuori dal processo, prima dello stesso e senza possibilità di difesa. Il linguaggio dell’odio di frequente è accompagnato da una non più strisciante, ma addirittura esplicita aggressione a intere categorie di cittadini (medici, avvocati, magistrati, abitanti di una città o di un quartiere, appartenenti a gruppi o associazioni, ecc.), tutto ciò nella ricerca dello slogan ad effetto. Si tratta di fenomeni che rispondono a una idea di società e giustizia che deve essere respinta al fine di perseguire l’interesse del cittadino a vivere in uno Stato che dia fiducia, che porti ad interagire all’interno delle formazioni sociali, che si ispiri al progresso, alla vivacità culturale e di idee, che determini il singolo ad intraprendere l’iniziativa economica.
Finalità che non possono essere realizzate in presenza di linguaggi aggressivi, sintomo di arroganza ideologica, e che si abbinano alla pretesa di chi li adotta di essere detentore della verità. Sì, la verità, quella verità che ha impegnato nei millenni il pensiero di filosofi e giuristi e che oggi si pretende di detenere e di divulgare in virtù della facoltà di usare un computer e di interagire con un clic con milioni di persone.
In questo scenario è evidente che le vicende giudiziarie penali costituiscono il terreno più fertile di azione. In effetti, le spinte a rappresentare le persone quali colpevoli prima ancora del processo trovano gioco facile nell’intrecciarsi con gli interessi di pochi, non mi riferisco certamente alla maggior parte dei giornalisti o degli utenti social. Ed ecco che anche gli avvocati devono guardarsi bene dalla tentazione di illusoria popolarità nel commentare i processi per via mediatica, così dimenticando il ruolo loro assegnato di custodi e sentinelle di legalità e della democrazia. Verrebbe meno, in caso di resa alle lusinghe pubblicitarie, la loro autonomia e indipendenza, che va mantenuta a tutela del cittadino e che funge da contrappeso verso spinte e derive di stampo autoritario.
Autonomia e indipendenza degli avvocati che è un valore al pari dell’autonomia e indipendenza della magistratura, principi da tutelare e difendere anche e soprattutto da chi, dall’interno delle due categorie, attenta agli stessi. Valori, e con essi il sistema democratico, che sono messi in pericolo nel caso in un cui prevalga nei media e nella società il linguaggio dell’odio che, per un verso non si concilia in alcun modo con il linguaggio della giustizia e del giusto processo, per altro verso determina veri e propri pericolosi corto-circuiti sociali, innescati dalla distanza tra un’idea distorta di giustizia “veicolata” alla collettività e la giustizia reale, quella delle sentenze definitive. Attenzione, non è un caso che nei Paesi che virano verso forme antidemocratiche, dove si riduce la libertà, come avvenuto in Turchia, ad essere aggrediti sono stati gli avvocati e i giudici.
*avvocato - componente Organismo Congressuale Forense