Nella concitazione generale dovuta alle esigenze di contenimento del virus, il Governo, certamente per una scelta di carattere democratico, ha ritenuto di non fissare a priori le regole per la cosiddetta distribuzione dei c.d. “buoni pasto” destinati alle famiglie in stato di necessità. Si è preferito attribuire agli amministratori locali il potere decisionale circa le modalità di compilazione delle graduatorie. La ragione è evidentissima, ciascuno conosce la realtà che amministra.
Scorrendo le pagine web dei vari enti tuttavia i criteri sembrano omologhi, si tende a privilegiare il reale stato di bisogno dei nuclei familiari, soprattutto di quelli che presentano situazioni a rischio, assenza totale di reddito, assenza di immobili di proprietà, assenza di altri benefici economici. Tutti i comuni seguono questo criterio, anche i comuni nei quali, per decisione ministeriale si è ritenuto di procedere allo scioglimento in ragione di infiltrazioni mafiose. In Provincia di Reggio tra i comuni amministrati dai commissari ci sono Delianuova, Melito Porto Salvo, San Giorgio Morgeto, Africo, Palizzi, Stilo. In provincia di Vibo, tra gli altri, il comune di Pizzo; in Sicilia la popolosa cittadina di Misterbianco.
Ebbene in tutti i comuni sciolti per mafia i criteri di assegnazione dei bonus sono pressoché identici, in tutti sono previsti criteri di gradualità e redditi bassi e/o inesistenti. Tutti tranne uno. L’eccezione è rappresentata dal Comune di Africo in cui i commissari prefettizi, alle già citate regole reddituali, hanno ritenuto di aggiungerne un’altra esigendo che il richiedente non sia stato condannato ai sensi dell’art. 416 bis del codice penale, o non abbia subito altra condanna con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa. A voler approfondire i fatti occorre notare che la clausola limitativa prevedeva inizialmente l’esclusione del bonus anche per i “presunti colpevoli” ovvero per i cittadini con carichi pendenti per reati di mafia. La dicitura, che faceva a pugni con la lettera e lo spirito della Costituzione, è stata rettificata ed il nuovo modulo presente dal primo di aprile sul sito on line del Comune prevede che siano esclusi dal beneficio solo i “condannati”.
Fuori dalle diatribe terminologiche, la sostanza è una e se la limitazione del bonus ai soli “accusati” non ancora giudicati, presente nella prima versione del provvedimento commissariale poteva essere allarmante ed in violazione della presunzione di innocenza, non meno grave si presenta tuttavia anche la “seconda versione” che differenzia pericolosamente territori e cittadini aventi identica situazione.
A parità di “scioglimenti” solo Africo prevede la clausola di esclusione del bonus per i condannati. Solo ed unicamente ad Africo, ripetiamo, per mafia non possono presentare istanza per il bonus. Né a Delianuova, né a Stilo, né a Pizzo Calabro, né a San Giorgio Morgeto, né a Misterbianco in Sicilia. Se dunque, a pari condizioni di esautoramento delle potestà dei sindaci, gli altri commissari non hanno previsto le clausole previste per Africo gli interrogativi ai quali occorre fornire risposta sono preoccupanti: è forse da ritenere che i funzionari di Africo siano stati dotati dal Ministero dell’Interno di superpoteri? Che in parole povere siano stati investiti, come i Viceré di memoria manzoniana – visto che siamo in periodo di peste - di poteri di straordinari di vita e di morte sulla popolazione? Oppure l’equivoco si spiega con una sorta di “zelo” preventivo mirato ad evitare l’imbarazzo della coppola mafiosa che si finge indigente e chiede il bonus?
Arrovellarsi a capire tuttavia non serve proprio a nulla, la clausola è inserita a bella posta in un provvedimento amministrativo e costituisce un chiaro esempio di ingiustizia sostanziale. Come se a caratteri cubitali fosse stato scritto - no bonus ai condannati per mafia -. Eppure la Costituzione Repubblicana che in questo periodo viene posta accanto a tutti i provvedimenti emergenziali (tutti o quasi ispirati al principio di solidarietà) afferma chiaramente che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. È quella la norma che ci consente di comprendere se la “clausola di Africo” abbia fondamento oppure no. Non pare che il termine servire preveda il “restringimento” della platea degli aventi diritto ad un beneficio. Servire significa assicurare il buon andamento dell’amministrazione e applicare il principio di uguaglianza sostanziale non esigere il cartellino penale dei cittadini per distribuire gli alimenti. Servire significa anche e soprattutto, in periodo di peste, guardare ai bisogni comuni adottando un criterio fondamentale: quello del buon senso.