KALANE'. Una faida per riconquistare Calanna. Fermato l'ex pentito Greco

KALANE'. Una faida per riconquistare Calanna. Fermato l'ex pentito Greco
Polizia

Aveva cambiato idea, Giuseppe Greco. Si era “pentito”, poi aveva visto il suo regno sfuggirgli di mano. E quell’idea lo logorava a tal punto da spingerlo ad iniziare una faida per riprendersi Calanna. Una faida fatta di sangue, inseguimenti rocamboleschi e armi in quantità. C’è tutto questo alla base del fermo emesso dalla Dda di Reggio Calabria con l’operazione “Kalanè” a carico di Greco, Domenico Provenzano, Antonio e Giuseppe Falcone, mentre rimane irreperibile Antonino Princi, sulle cui tracce gli inquirenti sono ormai da diverso tempo. Era lui a mettere a rischio la leadership di Giuseppe Greco. E quando, dopo il suo arresto nell’ambito dell’inchiesta “Meta”, aveva deciso di saltare il fosso, Princi aveva concentrato su di sé tutte le attività illecite della zona di Calanna e Sambatello, dove i Greco, per anni, avevano dettato legge. Prima dell’ex collaboratore, era stato don Ciccio, suo padre, a ricoprire il ruolo di boss. E da lui Giuseppe Greco aveva ricevuto quell’eredità che ora Princi pensava di potergli sfilare. Perché dopo il suo pentimento la sua immagine di uomo d’onore barcollava. E quello, aveva pensato Princi, era il momento buono per infilarsi nelle maglie del potere. Greco, allora, aveva deciso di risolvere tutto alla vecchia maniera: pallottole e sangue.

I TENTATI OMICIDI DI PRINCI E GRECO- Per riprendersi il suo trono, aveva deciso di uccidere Princi. Ma non ce la fece. Il 9 febbraio i killer si erano appostati a bordo di una Mercedes classe A nera. Conoscevano le abitudini di Princi, sapevano che sarebbe passato con la sua auto davanti all’impianto di rifiuti di Sambatello. E così fu. Le pallottole di una pistola calibro 9 e del fucile calibro 12 colpirono l’auto dell’aspirante boss, che riuscì a salvarsi sfondando il cancello dell’impianto e nascondendosi. Secondo gli inquirenti, i due a bordo della Mercedes erano Greco e Provenzano, famiglia, quest’ultima, a lungo sottovalutata ma capace di avere in mano un mucchio di armi e uomini abili ad utilizzarle. E rischiando di morire, Princi aveva capito di dover levare di mezzo il boss una volta per tutte. Lo “sceriffo”, come viene chiamato, sarebbe la mente dell'agguato del 3 aprile scorso, quando in contrada Sotira di Sambatello qualcuno aprì il fuoco uccidendo Domenico Polimeni. Il vero obiettivo, però, era lui, Greco. Che approfittando della notte, era uscito a prendere un po’ d’aria sul balcone, pensando di non correre pericolo. Ma qualcuno sparò, ferendolo con quei colpi. Sempre calibro 12. Ad organizzare l'agguato, secondo gli inquirenti, sarebbe stato Princi, che avrebbe delegato il lavoro sporco ai fratelli Antonio e Giuseppe Falcone di Pettogallico di Reggio Calabria. I due, sottoposti a stub, sono risultati infatti positivi. Ad aiutare gli inquirenti nelle indagini le numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché i video dell’impianto di sorveglianza di Sambatello, che hanno filmato l’inseguimento di Princi da parte dei suoi aspiratti assassini.

«IO SONO VENDICATIVO» – Giorno 15 aprile. Dodici giorni prima Greco aveva rischiato seriamente la pelle. Gli inquirenti lo sentono parlare al telefono con la zia, preoccupata per le sorti del nipote. Lui tenta di tranquillizzarla, ma lei ha paura. «Ava mala genti peri peri», dice con ansia. «Per soldi ammazzano alla loro madre». E lui sbotta: «E si ammazza per i soldi?! Se erano “cristiani” mi chiamavano…. E ci sedevamo». «Certo! – replica la zia - “manculicani” Signore!.. guardate voi!». Greco, però, sa di non essere da meno. «Eh.. ma io pure!.. hai capito no?!!.. uno a uno!.. siamo uno a uno per adesso!!». Princi aveva dunque solo pareggiato i conti. E mentre lui aveva sparato «per soldi», Greco lo aveva fatto «solo per onore». E la replica a sua zia («siamo uno a uno») per gli inquirenti è una conferma: «è solo la risposta ad analoga condotta subita dall’autore, cioè dal Princi». È questo il primo momento in cui Greco si autoaccusa. E avvisa la zia: il bilancio è solo provvisorio. La guerra non è finita. Bisogna sparare ancora, per tornare ai “bei tempi”, quando a dettare legge a Calanna erano lui e il padre. Un dato fondamentale, per gli inquirenti, «in quanto è espressione del contrasto con i nuovi gestori del potere criminale, che costituisce la causale di tale scia di eventi delittuosi».

I MOTIVI DELLA FAIDA - Qualche giorno dopo, il 26 aprile, gli inquirenti agganciano un’altra conversazione interessante. Greco, questa volta, è più chiaro sui motivi che hanno portato alla faida: le velleità di potere dei suoi rivali antagonista di prendere il comando degli assetti criminali di Calanna, il fatto che per tale motivo hanno cercato di farlo fuori. E li spiega sempre a sua zia. «Dice.. quando ci cacciamo a lui comandiamo in tutti i posti!.. hai capito?.. dice.. suo padre non c’è.. i suoi nipoti sono “babbi”.. ed hanno tirato per farmi fuori!.. però hanno sbagliato!.. hanno sbagliato!.. perché io sono vendicativo!!». Il 7 maggio Greco parla ancora. «Sono pieni di armi!», dice. Ma lui non è uno sprovveduto. «Uno di quelli è venuto con me e l’ho sbagliato io!! (…) mannaia (impreca) l’ho sbagliato io!!.. mai ne ho sbagliato uno a tordi!!». E così la strategia cambia. Greco spera che i suoi nemici non finiscano in manette e prova ad organizzare una finta pace. «Io me la sto aggiustando per farci amici». Perché la vendetta va consumata fredda. «E il omissis dopo un anno….. lo ammazzano!!».

«IO VINCO SEMPRE» – Zia Grazia prova ad avvisarlo. «Tu cerca di liberarti.. che non.. se succede qualche cosa a te danno la colpa». Ma la tensione costringe Princi e i suoi a “guardarsi”: «Lui sta nascosto ed io sto nascosto!.. lui non esce di casa. Eh.. eh.. dentro casa è!.. ficcato dentro!». Un uomo, Princi, che non avrebbe la levatura di un vero boss. «Ma io vinco sempre zia Grazia!.. noialtri i Greco vinciamo!!.. dammi tempo che poi vedi se vinciamo!!.. Il popolo è contro a questi cosi lordi zia Grazia, perché noi non abbiamo toccato mai a uno privato.. a uno.. se non era uno privato.. non abbiano bruciato macchine.. queste cose non le abbiamo fatte mai noi!!.. è vero». Il territorio, dunque, avrebbe metabolizzato la presenza della famiglia Greco, che ha sempre evitato di danneggiare i privati, interagendo con le vittime sottoposte ad estorsione. «Io me li sudavo!.. ti dicevo a te.. zia Grazia ti vuoi prendere questo lavoro?.. io te lo faccio prendere col tre per cento!.. e il dieci me lo devi dare!!.. e ci aggiustavamo così!!». D’altronde, Princi, secondo Greco, non ha la stoffa per fare il boss. E la sua morte avrebbe potuto riportare la cosca ai fasti d’un tempo. Più volte, parlando di lui, Greco lo accusa «di non avere cervello», di non avere sispetto per le vecchie regole, lamentando che «la ndrangheta non è più quella di una volta». Per Princi, invece, Greco è un soggetto ambiguo, già capace di voltare le spalle alla famiglia, mettendola in pericolo.