
A piedi. A quei tempi il letto del torrente era talmente largo che d’estate a volte riuscivamo a trovare lo spazio per piazzare le porte per un campo di calcio a misura quasi regolare. Le due bretelle forse non erano neanche una lontana idea. D’inverno spesso il torrente scendeva impetuoso portando a valle detriti e grossi tronchi d’albero, contemporaneamente noi passavamo sul muro dell’argine per andare a scuola. Una cosa normale, insomma. Pericolo? Antinfortunistica? Boh! Così doveva essere, così era da sempre, per noi.
In meno di dieci minuti a piedi, dicevo, dal Ponte di San Pietro raggiungevamo la zona di Piazza Castello, per andare a scuola.
Poi venne il progresso, il torrente fu cementato e vennero create le due bretelle d’asfalto.
Uno dei problemi più grossi da queste parti è che con il progresso c’è un rapporto strano, potrei dire di amore/odio, ma renderei l’idea solo in parte. Da noi il progresso spesso si affaccia, a volte si presenta anche bene, altre volte saluta e passa. Quasi mai si consolida e si sviluppa. Il progresso porta le strade, per esempio: da noi si traccia la strada e si costruiscono i marciapiedi, la si asfalta e di solito prima ancora di terminarla la si inaugura ufficialmente. La strada è ancora interdetta al traffico perché ci sono lavori in corso, ma è percorribile? Allora la si percorre, si spostano le transenne e si va. Poi alla fine, un bel giorno la strada viene aperta al traffico, e da quel momento rimane in balia degli eventi. Lentamente cominciano a crearsi delle buche nell’asfalto, poi salta qualche mattonella sui marciapiedi. Dapprima si provvede a tamponare, con interventi provvisori: “palate” di catrame e “manicolate” di cemento. Le erbacce iniziano a crescere, qualche lampione non funziona più, ma che volete, si tratta di malanni fisiologici. Può anche accadere che si provveda a riasfaltare completamente la carreggiata, magari più volte nel corso degli anni e di solito in coincidenza con eventi elettorali. Il nuovo asfalto viene posato direttamente sopra a quello vecchio, in modo tale da ricreare il manto completamente. Sembrerebbe un sistema veloce ed efficace, a prima vista. Per individuare le strade che sono state asfaltate con questa tecnica basta dare un’occhiata ai marciapiedi, che in alcune strade cittadine sono rialzati solo di uno o due centimetri rispetto al piano stradale, oppure ai tombini che invece rimangono ribassati rispetto all’asfalto divenendo così delle vere e proprie trappole per gli automobilisti, ma anche per i pedoni. Pericolo? Antinfortunistica? Boh!
Però qualcosa si fa. “Meglio che niente”, si usa pensare.
Ma perchéé il peggio deve essere considerato “sempre meglio che niente”?
Semplice: perchéé si accetta a prescindere l’esistenza del niente. La possibilitàà che non si faccia niente è considerata talmente reale e tangibile, che di conseguenza qualsiasi cosa che sia anche leggermente superiore al niente è considerata positiva. Apatia.
Adesso quel percorso non esiste più. Il progresso ha distrutto gli argini del torrente e la passerella, creando due grandi, utilissime arterie d’asfalto. Da percorrere in auto, naturalmente, perchéé i pedoni non sono neanche ipotizzati. Qualche tratto di marciapiede, che non si capisce a cosa serva visto che rimane isolato, qualche striscia pedonale, e il resto lasciato alla fortuna personale di chi si azzarda a percorrere a piedi la strada, a suo rischio e pericolo in mezzo a folate di autoveicoli, in un traffico talmente selvaggio che neanche il buon Ernesto Calindri ai tempi del “logorio della vita moderna” avrebbe mai immaginato potesse esistere. Il percorso dal Ponte di San Pietro a Piazza Castello, seguendo le strade adesso percorribili a piedi si fa nel doppio del tempo, in una città in cui muoversi in auto è un’avventura, trovare posteggio un’impresa, e i mezzi pubblici sono una bella favola da raccontare ai bambini la sera. Il famoso detto “si stava meglio quando si stava peggio”, qui da noi è una triste realtà.
Aerei, treni, navi, strade, ospedali, scuole, mezzi pubblici, tecnologie varie… tutto abbozzato, incompleto, mai aggiornato in tempo reale.
Il progresso viene, a volte si ferma un po’, magari lascia un segno, poi saluta e se ne va; lasciando al suo posto il suo alter ego negativo: il regresso. Perché si può regredire anche stando fermi, se il resto del mondo si muove; o addirittura anche andando avanti, se non si completa il percorso.