Il motivo è proprio quello: la presunta omosessualità delle ragazze avrebbe «offeso la morale cattolica». E quindi, nonostante mancasse solo la firma sul contratto per chiudere la data, fissata ad agosto, il concerto è stato annullato. Eliminato, cancellato, per salvare il paesino dalle fiamme dell’inferno.
A raccontare la storia è Elena, voce del gruppo. E lei ad esprimere a parole l’indignazione e l’offesa subita, l’ennesima di una lunga serie di parole rimaste taciute. «Ma non ne potevamo più», spiega ora Elena. Perché non si tratta della prima volta che qualcuno punta loro il dito contro per la loro sessualità. Anzi, su ciò che pensano della loro sessualità. Perché fa ancora strano, forse, vedere delle donne dietro una chitarra, un basso o una batteria.
E così, forti del titolo del loro ultimo pezzo – “Io non mi inchino” -, hanno deciso di non darla vinta ancora una volta a chi le etichetta e le butta via. «Quando tutto sembrava superato ed il pensiero moderno sembrava essersi emancipato da arcaici pregiudizi di genere arriva lei – spiega Elena -. Lei che decide “questo concerto non s'ha da fare”, perché, e cito quasi testualmente, “le Rivoltelle sono lesbiche e questa è una festa religiosa e quindi potrebbero offendere la morale cattolica di ogni singolo cristiano facente parte di questa comunità”. A prescindere da tutto questo vociare che sento continuamente dietro di me, mi chiedo come sia possibile ancora giudicare un uomo o una donna in base ad una preferenza sessuale».
L’accordo sulla serata, spiega la cantante a Zoom Sud, era praticamente chiuso. «Erano stati loro a chiamarci, erano tutti molto contenti», racconta. Bisognava solo sbrigare le ultime faccende burocratiche: così un rappresentante del gruppo era andato sul posto, per far firmare il contratto. E durante la riunione del comitato, davanti a lui, si è consumata l’indignazione omofoba. «Quella donna ha dovuto far valere a tutti i costi la propria opionione – spiega Elena - , ribadendo che noi siamo “un gruppo di quattro lesbiche, per giunta dichiarate, quindi non è possibile”». Così il concerto è stato annullato, senza che nessuno pensasse nemmeno di chiamare la band per scusarsi o inventarsi una scusa. Tutto cancellato, seppellito da quell’etichetta: “lesbiche”.
Ma per Le Rivoltelle non si tratta della prima volta. «Sento voci quotidianamente», conferma Elena. E anche se non si era mai arrivati a tanto, loro sanno per certo che quel “difetto” – perché tale viene visto - loro attribuito è il motivo per cui molti le scartano a prescindere. Come se un’insegna luminosa indicasse ad intermittenza: “voi qui non potete suonare”. «La mia rabbia non è che si pensi questo – continua Elena -. Mi fa rabbia che per questo mi venga impedito di suonare. Possono dirmi qualsiasi cosa: che non amano il mio modo di cantare, che la mia musica non piace. Ma che si decida di non farmi esibire nel 2016 perché abbiamo gusti sessuali diversi è terribile. Per altro gusti presunti, perché nessuno ha mai reso pubblico nulla del genere. Siamo molto riservate».
La rabbia si è diffusa sui social, è strisciata di bacheca in bacheca, dove una nota a firma di Elena raccontava la vicenda. E molti hanno condiviso lo sfogo di chi non accetta di vedere l’arte piegata al pregiudizio. «Noi ci spacchiamo la schiena per mettere in piedi uno spettacolo bello e apprezzato da tutti e poi ci vediamo togliere la possibilità di farlo per un motivo come questo. Il problema – aggiunge - è che c’è chi si fa condizionare. Il comitato non si è opposto alla decisione di una singola persona, che probabilmente avrebbe fatto la guerra pur di non farci suonare». Perfino il loro impegno antimafia è meno importante della loro sessualità agli occhi di qualcuno. «Non ha nessuna importanta: l’unica cosa che conta è che siamo lesbiche – lamenta ancora la vocalist -. Puoi fare qualsiasi cosa per emergere e superare certe cose ma non puoi, perché hai una lettera scarlatta attaccata al vestito e non puoi andare avanti». Ora sono esasperate. Non hanno più voglia di stare in silenzio e giustificare dicerie su cose delle quali nessuno sa nulla. «Nessuno deve per forza essere informato né deve essere un discrimine – conclude -, specie nella musica, che è libera. Prima stavamo in silenzio per non alimentare le polemiche. Ora basta, non ce la facciamo più».