GIUSEPPE FIORENZA -
Qualche anno fa, e scusate se mi aggrappo a un ricordo che è anche un’immagine e un suono, la nota trasmissione di Radiodue Caterpillar, aveva messo in onda una strana e lieta canzone dal titolo perfettamente pertinente a quanto stiamo dicendo: Onda Calabra. Lì per lì siamo rimasti sorpresi, piacevolmente, disorientati, dato che l’estate era per finire e quel motivo sembrava promettere folli notti di vacanza, poi, piano piano siamo riusciti a renderci conto della situazione. La canzone si chiamava proprio Onda Calabra ed era eseguita da un gruppo, il cui nome era insieme promettente ed impegnativo: Il Parto delle Nuvole Pesanti. Essa era la colonna sonora di un rockumentario sulla turnè che questa band aveva fatto nelle pizzerie e nei ristoranti calabresi della Doichlanda, cioè della Germania, che era anche il titolo del film. Recentemente, la stessa canzone è stata ripresa per essere inserita nel film Qualunquemente di Antonio Albanese. Il titolo della canzone ci dà lo spunto per riflettere sulle condizioni della cultura e dell’arte nella Calabria odierna.
C’è (diremmo: finalmente!) un’Onda Calabra, cioè un fermento di pensieri e di idee che affonda le radici nella cultura, arte, tradizione, storia e lingua regionale e cerca di sviluppare un discorso artistico o letterario? Senza, attenzione, rinnegare o per meglio dire rimuovere le proprie origini come radici tematiche della propria poetica?
Una volta qualcuno, di cui non ricordiamo il nome, aveva paragonato questo fermento a una fiumara in piena che, come sappiamo dai recenti fatti alluvionali, travolge la cultura contaminando a livello nazionale il terreno di artisticità, proprio come una fiumara travolge tutto nel suo percorso impetuoso.
Noi osiamo dire che c’era già una folla di artisti calabresi ma non faceva mostra di sé, nel senso che se non proprio nascondeva la sua origine, non solo non la sbandierava ai quattro venti, ma neppure la prendeva a fondamento della propria drammaticità artistica o della propria visione della vita.
Questo non incideva sulla qualità, per carità, né sulla legittimità di ogni artista di fare ciò che voleva del proprio talento. Diciamo semplicemente che non c’era, vuoi per motivi ambientali, vuoi per echi negative di una cultura subalterna che non forniva spunti interessanti alla cultura “ufficiale”.
Gli artisti erano comunque di un calibro notevole, alla faccia di chi parla sempre male della Calabria, ma non solo artisti, anche recentemente uomini diciamo così di successo internazionale, se consideriamo attori come Raf Vallone, Leopoldo Trieste, Aroldo Tieri, Raul Bova, Ninetto Davoli, registi come Gianni Amelio, Mimmo Calopresti, fotografi come Rino Barillari, scrittori come Enzo Siciliano, Mario Fortunato, Rocco Carbone, altri come Luciano Rispoli, Gianni Versace, Renato Dulbecco, Agostino Saccà.
La dimensione di questi celebri personaggi non si fonda su una pretesa calabresità (o la contiene in minima parte) ma su una poetica prettamente artistica, scientifica o letteraria.
Ultimamente però c’è qualcosa di nuovo, c’è un “ritorno”, poco in linea per dirla francamente con i ritorni “fisici” nella propria terra, ma pur sempre un ritorno, perché i ritorni letterari e/o artistici poi diventano permanenti connotando l’opera di un singolo autore o suscitando discussione e interesse. A questo punto, ci poniamo alcune domande:
- Esiste una cultura calabrese, slegata dalla politica e sganciata da discorsi retorici autocelebrativi e nel contempo autolesionistici che ci possa risollevare dal rincoglionimento socio-economico-mediatico in cui ci troviamo attualmente?
- Esiste una letteratura calabrese, capace di tenere il passo con la letteratura ufficiale, non in senso commerciale, s’intende, e spingere la gente a domandarsi sull’assenza delle regole di nascita di vita e di morte in certi territori abbandonati?
- Esiste un’arte drammatica, senza corifeo ma con tante voci all’unisono, che sia degna di continuare la tradizione della Grande Grecia, e dia risalto e valore ai canti funebri, magari reinventandoli, oppure agli antichi riti popolari propiziatori o neorealistici o ancora alle ragioni delle metafore?
- Esiste una musica che ci possa suggestionare al punto di farci credere, anche solo illusionisticamente, che la sensibilità umana è partita dalla Calabria e poi si è diffusa nel mondo? Una musica capace di riconoscere il talento di pochi trovatori e trovieri che cantavano la terra e le lotte per una giustizia e una vita migliore?
- Esiste un cinema capace di raccontare vite morte e miracoli di chi ormai ha eletto come proprio domicilio un mezzo di trasporto per i viaggi che doverosamente deve fare per mantenere la sua origine, oppure le rivolte della terra o la condizione delle donne in una terra dimenticata non solo da dei e santi, anche se gli stessi vi hanno eletto il proprio domicilio, ma anche da chi ci vive abitualmente?
- Esiste un movimento di pensieri e di idee, su un terreno comune di condivisione della cultura, arte, tradizione, storia e lingua regionale il quale cercando, anche se autonomamente, di sviluppare un discorso artistico o letterario, potrebbe (ipotesi) costituire la base per il risollevamento generale della regione non solo in senso economico ma anche e soprattutto per il cambiamento della apatia in cui ci trasciniamo da decenni?
Sì, noi crediamo che tutto questo esista, ma deve prendere coscienza di poter essere la molla, sola e unica molla che può dare la scossa a un cambiamento che politici economisti e finanziari hanno promesso da anni e sempre disertato.
Per fare un inventario (incompleto per forza di cose) e richiamare un po’ le forze tra di loro, crediamo che sia utile conoscere questo esercito armato non di spade e fucili ma di parole e di note e di immagini. Lo faremo di certo.